Cosa accadrebbe se il posto che è sempre stato il nostro, accanto a una persona che abbiamo amato, finisse con l’essere occupato da qualcun altro?
Questo interrogativo è centrale nel romanzo “Il posto degli assenti” di Francesco Puccio, pubblicato da Marlin editore.
Significativo il commento dello scrittore Diego De Silva, che firma la quarta di copertina: «Non prendete il titolo alla lettera, ampliatelo. Questo è un libro sull’assenza, che aleggia su ogni pagina come una nebbia che si dirada progressivamente, scomparendo sul finale, al tempo di una scrittura che ha la delicatezza che si riserva alle cose fragili. Ed è lì, in quel posto disabitato eppure pieno di presenze, che a un tratto ci sembra di veder passare qualcuno che abbiamo perso, che per un attimo ci concede un segno di sé».
Il senso del mistero custodito nel ventre del mare greco e il fascino della narrazione animano la scrittura di Francesco Puccio, autore e regista teatrale, ricercatore all’Università di Padova. Al centro della scena romanzesca è il personaggio di Teo, scrittore di gialli seriali. Il romanzo prende l’avvio dal giorno in cui il protagonista, sbarcato sull’isola greca di Cefalonia, scopre che l’amico Petra, bizzarro proprietario di una taverna e moderno aedo che ama raccontare ai suoi avventori storie sempre nuove, a metà strada tra la verità e la finzione, è morto. Mentre si reca al cimitero, la sua mente torna indietro all’ultima delle storie narrategli da Petra, la più misteriosa e appassionante, ma anche la più autentica ed emozionante. Di qui, il racconto procede lungo due binari che s’intrecciano e si completano.
Sottolinea Francesco Puccio: «Questo è un romanzo che nasce da una riflessione sul tema dell’assenza che mi porto dentro da tempo. Accade, talvolta, che certi temi bussino alla nostra porta e senza aspettare che li si lasci entrare, si mettono comodi, in attesa che ad essi ci si rivolga. Occupano lo spazio intorno, abitano i luoghi, attraversano le memorie, e iniziano a diventare parte del tuo vissuto. Mi è capitato così con l’assenza, prima in certe mie scritture teatrali dedicate ai personaggi del mito classico, e poi in questo libro, nato durante un viaggio a Cefalonia, in una di quelle estati azzurre che solo il Mediterraneo conosce, e poi mai più andato via, finché non l’ho messo per iscritto. È una storia d’amore e di amicizia, ma anche la ricerca instancabile di una risposta alla domanda che fa da bussola a tutto il racconto: cosa accadrebbe se il posto che è sempre stato il nostro, accanto a qualcuno che abbiamo amato, fosse occupato da qualcun altro? Un romanzo su quelli che non ci sono più, ma anche su quelli che restano», precisa l’autore.
È in linea con le atmosfere del libro l’esergo affidato alle riflessioni di Natalia Ginzburg, tratte dal racconto “Il nostro amico” (dedicato a Cesare Pavese), dalla raccolta “Piccole virtù“: «E la tristezza che la città ci ispira ogni volta che vi ritorniamo, è in questo sentirci a casa nostra e sentire, nello stesso tempo, che noi, a casa nostra, non abbiamo più ragione di stare; perché qui, a casa nostra, nella nostra città, nella città dove abbiamo trascorso la giovinezza, ci rimangono ormai poche cose viventi, e siamo accolti da una folla di memorie e di ombre».
L’intreccio
Da una parte, la vicenda di Petra, la sua amicizia con Damian, la morte improvvisa di quest’ultimo, il posto che egli stesso si trova ad occupare accanto alla vedova, Sofia, facendo da padre a un figlio non suo. Dall’altra, la storia di Teo che, nel decidere di raccontare quella di Petra, finisce col ripensare alla propria vita e a muoversi sulla labile linea che separa il passato dal presente, dove il volto della sua amata Greta ha ormai iniziato a occupare il posto degli assenti.
Un viaggio a ritroso lungo i sentieri della memoria che, come in un’indagine dell’ispettore dei suoi gialli, impegnerà senza sosta Teo, spingendolo a fare i conti non solo con un’esistenza irrisolta, ma anche con il posto che spetta a quelli che restano.
L’incipit
«Petra non c’era più.
Il mio amico, il vecchio proprietario della taverna che mi accoglieva al porto, era scomparso ormai da qualche mese. Insieme con lui, i profumi delle spezie, gli aromi delle sue pietanze migliori impastate col miele e col sesamo, le sedie impagliate, le tovaglie a quadri bianchi e blu, stirate da un vento che portava storie e soffiava dal ventre del mare. Era in questo modo che Petra ne aveva apprese tante, vere e inventate, in una terra in cui perfino le pietre custodivano racconti e sapevano come tramandarli a chi si fosse fermato ad ascoltare.»
L’autore
Francesco Puccio è nato a Cava de’ Tirreni nel 1982. Laureato in Lettere classiche all’Università di Napoli, è ricercatore all’Università di Padova, dove si occupa di Teatro antico greco e latino e della sua ricezione sulla scena contemporanea.
Autore e regista teatrale, è ideatore e direttore artistico del progetto “L’antico fa testo”.
Un progetto di ricerca sulla performatività del mito classico sulla scena moderna. Ha scritto romanzi (Stelle fuori posto, Albatros 2010; Mathilde bianca di calce, Marlin 2013; Undici e mezzo, Effigi 2014; Rosso Lupo, Iemme 2017), drammaturgie, saggi (L’antropologia va in scena. Nuove dimensioni teatrali per l’Antico, ETS 2017; Drammaturgia dello spazio. Il teatro antico tra testo e contesto della rappresentazione, Padova University Press 2018), e ha realizzato numerosi progetti per il teatro nelle aree archeologiche e nei siti museali del territorio nazionale, specializzandosi nella scrittura di testi ispirati al mito antico e alla sua permanenza nel mondo contemporaneo.
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