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Amore e sicilianità

oggi si può affermare che il fidanzamento debba essere il più bel periodo per una coppia che si ama senza condizioni

Il periodo più bello di una coppia siciliana: il fidanzamento

 

Si è sempre creduto che, vivere come coppia sotto lo stesso tetto, sia il periodo più bello della vita. Pensare alla Sicilia, terra emarginata, alla mentalità spesso retrograda e bigotta, convince sempre più che il fidanzamento e poi il matrimonio non siano la tomba dell’amore. In realtà basti pensare a tanto tempo fà, alla gioia di non sentirsi chiamare a trent’anni “zitella”. Sentirsi scelta in passato era un privilegio, anche se il più delle volte solo formale. Adocchiata la futura moglie, presi gli accordi verbalmente, seguiva la stesura della “minuta” con una persona di fiducia. Nel rogito si scriveva l’elenco della dote dei due fidanzati, come contratto matrimoniale, insomma un matrimonio combinato.

 

Tutto avveniva per interesse morale ed economico dei figli . Costoro accettavano la decisione dai genitori con obbedienza. I sentimenti, secondo la consuetudine, sarebbero arrivati con il tempo e con i figli. In Sicilia si dice: “Lettu metti affettu”. La Domenica successiva era il momento della “Canuscenza”, presentazione degli sposi. Avveniva con una cerimonia in casa della ‘zita’, la fidanzata, occasione per lo scambio dei regali . La ragazza riceveva, da parte della futura suocera, un nastro rosso, detto “‘’ntrizzaturi”, con cui le intrecciava i capelli. Il fidanzato le regalava l’anello, fascetta, o una collana di coralli chiamata “gulera” . I doni, ricambiati dalla fidanzata, venivano portati in un cestino di vimini. I regali, stecche da busto intarsiate con fiori, mani intrecciate o chiavi, rappresentavano l’unione. Il giovane riceveva dei fazzoletti e una camicia, cucita e ricamata dalla “zita”. Il nastro, che la suocera intrecciava fra i capelli alla futura nuora, stava ad indicare che la giovane sarebbe stata promessa sposa .

 

Per tale motivo doveva essere portato fino al giorno delle nozze. L’anello o la collana, ricevuti dal fidanzato, avevano lo stesso significato. Perdere uno di essi, significava preannunciare una disgrazia, oppure un’incrinatura dei rapporti familiari . Altri regali, pettini per reggere “u tuppu”, chignon raccolto sulla nuca, pietre dure per capelli . Lo spillo era un dono che la fidanzata faceva al futuro sposo, legame eterno. Il fidanzato, quindi, diveniva una sorta di padrone. Tra i regali c’era lo spillo, tipico della zona di Palermo, una ‘spatuzza’ d’argento, diffusa in tutta la Sicilia. La ‘spatuzza’ era un dono che il fidanzato faceva alla sua amata. Era uno spadino d’argento a forma di mezzaluna che serviva a fermare le trecce, il cui significato era di “legare” la fidanzata a sè. L’atto della consegna della spatuzza ” era come una investitura. Durante la cerimonia della ‘canuscenza’, conoscenza, c’era la distribuzione di ceci abbrustoliti, nocciole e mandorle, i cosiddetti ‘scàcci’ . Dopo la presentazione ufficiale i due futuri sposi, per le convenzioni dell’epoca, si frequentavano solo la Domenica. Vi erano occasioni per scambiarsi qualche regalo, ad esempio l’uovo pasquale o ‘pupu cu l’ova’, biscotto a forma di pupazzo con un uovo in mezzo per Pasqua, i ‘cucciddati’, biscotti con ripieno di fichi per Natale. I futuri sposi dovevano rigorosamente incontrarsi sempre in compagnia di altre persone, mai da soli, per evitare che stessero troppo in intimità, anzi spesso si davano del voi in segno di rispetto. Poteva accadere che il fidanzato, andando a casa della ragazza, non la incontrasse neanche e si dovesse accontentare di parlare solo con i futuri suoceri.

A volte al rigido fidanzamento si poneva fine con la “fuitina”, fuga e poi matrimonio riparatore.

La giovane, non doveva concedersi al fidanzato, ma arrivare “pura” alle nozze. Nel caso contraro era ritenuta libertina, “culumbrina”, non seria. Quando, ipoteticamente, la fidanzata veniva lasciata dal suo uomo, il fidanzamento veniva interrotto e i regali dovevano ritornare alle due parti in causa. La giovane rischiava di non trovare più marito, perché disonorata; mentre l’uomo poteva vantare maggiore virilità . Queste tradizioni retrograde si sono evolute nel tempo. Sono usanze di un’epoca “sorpassata”. Desta inquietitudine il cambiamento troppo disinvolto e libertino della società odierna . La Sicilia con i suoi antichi riti, frutto di mentalità conservatrici, si è evoluta anche troppo. Amare una donna o il proprio uomo, dovrebbe voler dire amare un tesoro. La figura femminile, dopo aver acquisito un ruolo fondamentale nella scala sociale, non vuole essere più sottomessa.

Lì in quei paesi, dove era impossibile sfatare un progresso inarrestabile, i Siciliani continuano a lottare per tutte quelle credenze che ghettizzano e stigmatizzano la stupenda isola, definita nel mondo “ terra della virtù e dell’amore”.

L’amore resiste forte, dunque, nel cuore delle donne e degli uomini, quelli veri. Purtroppo i media ci aggiornano che le donne maltrattate o uccise sono in continuo espandersi. L’uomo, fidanzato o marito non è padrone, ma deve stare accanto alla sua donna per proteggerla ed amarla. Si parla di coloro che hanno finito di pensare alla donna oggetto, acquistata e di proprietà del maschio.

Dopo secoli di represso sfogo all’amore rispettoso e di pari diritti, con le lotte per l’emancipazione, oggi si può affermare che il fidanzamento debba essere il più bel periodo per una coppia che si ama senza condizioni.




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