Si tratta del pezzo di carta più antico d’Europa e tutt’oggi esistente, il documento firmato da Adelasia Incisa del Vasto, Gran Contessa di Sicilia dopo le nozze con Ruggero il normanno e in seguito regina di Gerusalemme nel 1113.
La lettera, bilingue, attualmente conservata presso l’Archivio di Stato di Palermo, è stata scritta da Adelasia in greco e arabo, e risale al 1109. Più precisamente è una richiesta di protezione indirizzata ai visconti e ai comandanti di Castrogiovanni (attuale Enna) affinché si adoperassero per proteggere il monastero di San Filippo di Demenna, compreso nel dotario personale della sovrana.
Ma andiamo con ordine: Aldelasia del Vasto, figlia del marchese di Savona e della Liguria Occidentale, sposò a Mileto, nel 1087, Ruggero d’Altavilla. Il matrimonio, siglando l’alleanza tra normanni e Aleramici, ebbe al tempo una vasta eco unendo, nell’ambito di uno scenario egemonizzato dall’Impero e dal Papato, importanti territori a nord e a sud della penisola e incidendo sulla latinizzazione della Sicilia con la creazione di importanti isole linguistiche dove si parla ancora il gallo-italico.
Dopo la morte del marito nel 1101, Adelasia dimostrò di essere una donna capace di amministrare il potere in maniera oculata e lungimirante e, da fine diplomatica, durante la sua reggenza seppe destreggiarsi tanto in politica interna quanto in quella estera. E’ in questo quadro che si colloca il “Mandato di Adelasia”, ovvero l’ordine della Gran Contessa indirizzato ai funzionari pubblici di Enna per “mettere al bando ogni molestia” e assumere la difesa della comunità monastica di San Filippo di Demenna.
Secondo gli storici a sottolineare la particolarità del provvedimento, è innanzitutto l’uso con largo anticipo sui tempi della carta da scrivere, la cui scelta indica anche la provvisorietà dell’atto al contrario di tutti quelli vergati su pergamena.
Con riferimento alle risultanze dell’analisi microscopica effettuata al Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro di Roma, si deduce inoltre la provenienza araba del materiale cartaceo, costituito da un “impasto composto da cellulosa di lino in fibre poco raffinate e frammentate a causa dell’assenza di filigrana e dalla eccessiva quantità di amido di frumento presente nella fibra”.
In conclusione l’eccezionale reperto aggiunge una ulteriore pagina di storia utile ad indagare gli intricati rapporti tra donne e potere, ancorché in un’epoca più complessa di quanto si possa comunemente immaginare.